La FABI, ancora una volta, fa chiarezza sul presunto piano che Unicredit si accingerebbe a presentare e ribadisce che la sigla maggiormente rappresentativa non è disponibile ad avallare decisioni aziendali che colpiscono pesantemente lavoratori e territori.
Ripubblichiamo l’Intervista pubblicata su Milano Finanza del 21 novembre 2010 a Mauro Morelli, Segretario Nazionale FABI di riferimento per il Gruppo UniCredit.
Domanda. Segretario Morelli, mancano un paio settimane alla presentazione del
piano industriale di Unicredit. Se saranno confermati i 10.000 esuberi, come
reagirete?
Risposta. Questi numeri sono irreali, irrealizzabili e scandalosamente inaccettabili.
Se l’azienda dichiarerà i numeri che ha fatto filtrare, come di consueto, attraverso
un’agenzia stampa internazionale, vorrà dire che ha considerato anche il rischio
reale di realizzare un piano industriale senza la firma del sindacato.
D. Quali conseguenze ci sarebbero?
R. I piani industriali, senza accordo con i sindacati, sono impossibili da realizzare per
le procedure di legge, specie se incentrati sulla riduzione di personale. La
conseguenza sarebbe oltre tutto la sicura rottura delle relazioni industriali e
l’azienda se ne assumerebbe la responsabilità. Sono convinto, comunque, che un
piano industriale non possa essere solo un esercizio aritmetico di diminuzione della
forza lavoro, anche perché le numerose vertenze per carenze di organici avviate su
tutto il territorio nazionale, le migliaia di consulenze esterne continuamente
utilizzate, i circa 1000 contratti di collaborazione a partita iva denominati “my
agent”, denunciano ben altra situazione.
D. Ma la riduzione dei costi sembra ineludibile?
R. Assolutamente no. I costi per Unicredit sono in linea con i migliori competitor a
livello europeo e decisamente tra i più bassi rispetto agli altri gruppi italiani. Il cost-
income di Unicredit è al 52,8%, tra i migliori d’Europa. Dalla fusione con Capitalia a
oggi, tra piani industriali e revisione sulla base di nuove leggi, questa azienda ha
fatto perdere al Paese circa 40.000 posti di lavoro: in pratica, una delle due banche
fuse nel 2007 è sparita. Solo nell’era Mustier, i tagli sono stati circa 15.000.
D. I vertici del gruppo hanno assicurato più volte che gli effetti sull’occupazione
saranno gestiti in maniera responsabile. VI basta come garanzia?
R. No, non ci basta affatto: i vertici saranno chiamati alla prova dei fatti. Perché la
“responsabilità” non va solo dichiarata, ma declinata nei dettagli. E comunque sia
chiaro: come sempre nella gestione di tutti i piani industriali nei gruppi bancari,
siamo disponibili a parlare solo di prepensionamenti e pensionamenti volontari e a
fronte di un congruo numero di assunzioni. Dai futuri tagli inseriti nel piano, in ogni
caso, andranno sottratte le uscite con turn over. Se la banca avrà un
atteggiamento rigido e ostile, se ne assumerà la responsabilità e noi reagiremo di
conseguenza.
D. Cosa si aspetta, in concreto, dal piano industriale Team 2023?
R. Questo piano industriale dovrà essere l’occasione per chiarirci una volta per tutte
su che tipo di azienda ci troveremo di fonte nel prossimo futuro, quali sono gli
obiettivi che dovranno essere condivisi e soprattutto quali le strategie e i mezzi per
raggiungerli che non possono essere scissi dal capitale umano, che secondo noi è
ancora indispensabile, qualunque cosa pensino i vertici aziendali. L’azienda non può
essere sorda e insensibile di fronte al grido di dolore, che arriva dai colleghi e anche
da parte dalla clientela in tutta Italia, sulla perdita continua di tantissime
professionalità.
D. Come giudica le mosse di Mustier e in particolare la vendita delle partecipazioni?
R. La cessione di tantissimi asset – quali Pekao, Pioneer, Fineco, Credito su Pegno,
Mediobanca – ritenuti fino a poco tempo fa strategici evidenziano una volontà quasi
ossessiva di fare cassa nonché di abbandonare diverse attività riducendo i perimetri
operativi.
D. C’è un progetto definito dietro queste cessioni?
R. Queste operazioni dimostrano che, al di là delle parole, Mustier sta disancorando
il gruppo dall’Italia. Non vorremmo che fosse il preludio a operazioni non di marchio
tricolore, spostando la governance in giro per l’Europa: su questo siamo pronti a
fare le barricate.
D. Avete già richieste precise da mettere sul tavolo?
R. Prima guarderemo a fondo le carte del gruppo e lo valuteremo assieme a tutte le
altre organizzazioni sindacali che condividono le nostre stesse perplessità.
All’interno del piano industriale ci dovranno essere, secondo noi, non ultime, le
garanzie occupazionali per i lavoratori delle società già esternalizzate.
D. Quante filiali ha chiuso Unicredit negli ultimi anni?
R. Più di 500. E l’abbandono progressivo e incessante del territorio, specie al Centro
al Sud del Paese, denuncia probabilmente strategie aziendali che discostano dalla
banca tradizionale per avvicinarsi sempre più a un modello organizzativo di banca
d’affari. Su questo saremo assolutamente contrari sia dal punto di vista sociale sia
dal punto di vista commerciale, perché negli ultimi due anni, è bene sottolinearlo, è
proprio l’Italia ad aver assicurato al gruppo le maggiori soddisfazioni in termini di
ricavi e utili. Siamo decisamente stufi di essere additati come gli ultimi perché non è
assolutamente vero.
D. I tassi negativi preannunciati da Mustier possono avere ripercussioni?
R. Le strategie sottostanti sono incomprensibili e qualche dubbio deve essere
venuto allo stesso amministratore delegato che, dopo averli annunciati, si è corretto
due volte nel giro di pochi giorni. A trarne vantaggio sarebbero sicuramente le
aziende concorrenti e quindi sarebbe una scelta quasi autolesionistica.
D. Si è appena chiuso il piano Transform 2019. Qual è il suo giudizio?
R. L’unico vero obiettivo raggiunto è stato la riduzione degli organici, obiettivo che è
costato ai colleghi del gruppo enormi sacrifici e che dovranno comunque essere
riconosciuti. Il rispetto e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori è il primario
obiettivo che ci siamo posti, sempre e comunque. E proprio per questo denunciamo
con “responsabilità” situazioni di insostenibilità diffusa, che fino a oggi non sono
state minimante ascoltate.
D. Di che si tratta?
R. Restano ancora irrisolte problematiche tecniche, organizzative e procedurali oltre
che dei modelli distributivi che affliggono da tempo tutto il gruppo. Non è più
tollerabile vivere nell’illusione di chi si ostina a disegnare un’azienda che esiste solo
sulla carta ed è lontanissima dalla realtà o peggio fa finta di non vedere.
D. Il nuovo piano di Unicredit si sovrappone alla trattativa sul contratto nazionale.
Come si conciliano i due negoziati?
R. Se qualcuno pensa che ci possa essere qualsiasi tipo di baratto tra i piani
industriali delle aziende e il contratto nazionale sta sbagliando di grosso. Non ci sono
e non ci potranno essere mai commistioni di alcun tipo. Per noi il contratto
nazionale è centrale e sacro: tutte le aziende dovranno assolutamente operare
all’interno del perimetro delineato.
Nella foto: Mauro Morelli e Carmelo Raffa